Le guerre ( art. di msn encarta)

30.11.2008 11:52

Guerre indiane Conflitti combattuti tra il XVII e il XIX secolo dagli indiani nativi del Nord America contro i colonizzatori europei e contro le forze governative degli Stati Uniti d’America, nel tentativo di impedirne lo stanziamento sui propri territori. Le divisioni esistenti tra le “nazioni” indiane e l’inadeguatezza dei mezzi a loro disposizione ridussero lo scontro a una lunga catena di sconfitte e massacri delle tribù indigene, interrotta da vittorie divenute subito leggenda proprio per la loro eccezionalità.

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Il periodo coloniale

Dopo una fase pacifica, nel 1622 ebbero inizio i primi scontri tra gli indigeni e i coloni inglesi sbarcati in Virginia. La lotta si protrasse per oltre vent’anni senza che gli indiani riuscissero ad arrestare l’avanzata dei coloni verso l’interno. Più a nord, nella Nuova Inghilterra (odierno New England), la cosiddetta “guerra di re Filippo” (una rivolta guidata dal capo dei wampanoag, Metacomet, chiamato Philip dagli inglesi), consolidò, dopo la sconfitta degli indiani nel 1676, il dominio inglese nella regione.

Intanto i francesi avevano avuto ragione delle tribù del Québec e della valle del Mississippi, mentre gli olandesi, fondatori della colonia della Nuova Olanda (attuali stati di New York e New Jersey), dal 1640 furono impegnati in un lunghissimo scontro con gli algonchini del basso corso del fiume Hudson, che ebbe il suo episodio centrale nell’assedio di Nuova Amsterdam (l’attuale città di New York).

Gli indiani cercarono allora di sfruttare la presenza di più potenze europee in Nord America, alleandosi alternativamente all’una o all’altra nel corso delle grandi guerre coloniali susseguitesi alla fine del XVII e nel XVIII secolo (vedi Guerra di re Guglielmo, 1689-1697; Guerra della regina Anna, 1702-1713; Guerra coloniale anglo-francese, 1754-1763). Il tentativo più audace fu compiuto nel 1763 dal capo degli ottawa, Pontiac: riunite in una confederazione tutte le tribù della regione dei Grandi Laghi, egli si offrì di aiutare i francesi a respingere gli inglesi, ma vide fallire il suo piano quando fu conclusa la pace tra Londra e Parigi.

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L’età rivoluzionaria

Durante la guerra d’indipendenza americana entrambe le parti cercarono alleati tra le tribù indiane. Il trattato di Versailles (1783), che pose fine alla guerra, non fece però alcuna menzione degli interessi degli indigeni. Quando il governo statunitense pretese di trattare le tribù stanziate nei territori acquisiti a ovest dei monti Appalachi come nemici sconfitti, queste ripresero il conflitto armato.

Dopo un difficile periodo iniziale (1791-1793), nella battaglia di Fallen Timbers (nell’attuale Ohio) le forze statunitensi ebbero infine ragione della tribù dei miami (agosto 1794), aprendo la valle del fiume Ohio alla colonizzazione. I creek e le altre tribù dei territori sudorientali tentarono di mantenere la propria autonomia cercando inutilmente l’alleanza della Spagna che, riluttante a contrastare la nuova nazione americana, nel 1795 firmò il trattato di pace di San Lorenzo.

3.1  

La guerra del 1812

Agli inizi dell’Ottocento il capo degli shawnee, Tecumseh, riuscì a organizzare una confederazione di nazioni indiane che allarmò il governatore del Territorio dell’Indiana, William Henry Harrison. Nel 1811 Harrison riprese le ostilità e nella battaglia di Tippecanoe sconfisse la confederazione. Il conflitto si inserì nella guerra del 1812, con gli indiani schierati dalla parte inglese. La morte di Tecumseh (ottobre 1813) determinò lo sfaldamento della confederazione e le principali tribù firmarono la pace con gli americani.

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La politica dei trasferimenti indiani

L’Indian Removal Act del 1830, la legge che doveva nelle intenzioni regolare l’acquisto o lo scambio di terre tra il governo statunitense e gli indigeni, risolse drasticamente il “problema”: intere tribù vennero cacciate dai territori d’origine e deportate a ovest del Mississippi: sauk, fox, creek, cherokee, seminole (vedi Guerre seminole) cercarono invano di resistere, ma nel giro di vent’anni era scomparsa di fatto ogni presenza indiana nella parte orientale degli Stati Uniti.

Tra il 1840 e 1890 il governo federale organizzò un sistema di riserve entro cui costringere le nazioni indiane, avviando così la conquista e la colonizzazione dei territori occidentali. 

Alla metà del XIX secolo bannock e shoshoni dell’Oregon e dell’Idaho, ute del Nevada e dello Utah, apache e navajo dei territori del Sud-Est si coalizzarono in un vasto ma inefficace tentativo di ribellione. Tra gli anni Sessanta e Settanta arapaho, cheyenne e sioux intrapresero una guerra combattuta con particolare ferocia da entrambe le parti, nel corso della quale ebbe luogo la mitica battaglia di Little Bighorn (25 giugno 1876), durante la quale il 7° Cavalleggeri comandato dal generale George Armstrong Custer fu annientato dai cheyenne e dai sioux di Toro Seduto e Cavallo Pazzo, entrambi peraltro costretti alla resa nel giro di un anno.

L’ultima vasta azione di resistenza fu condotta negli anni Ottanta dagli apache di Geronimo. Il 29 dicembre del 1890 con il massacro di Wounded Knee, nel South Dakota, dove la Cavalleria federale fece strage di uomini, donne e bambini sioux, le guerre indiane ebbero fine.

 

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